Il Santuario - MADONNA DELLA SALUTE

Santuario "Madonna della Salute"

Santuario "Madonna della Salute"
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IL SANTUARIO

Il Santuario della Madonna della Salute di Solarolo sorge in vicinanza del paese in aperta campagna; in una posizione topografica simile a tanti santuari mariani della Romagna e di altre regioni italiane. Gli esempi sono numerosi: dal Santuario della Madonna di S. Luca di Bologna al Santuario della Madonna del Monte di Cesena, al Santuario della Madonna del Molino di Lugo a quello della Madonna del Soccorso di Bagnara e a quello dell'Arginino di Voltana. Questo il breve elenco di Santuari solo nelle vicinanze. Dal punto di vista architettonico si può fare una prima osservazione: presentano un impianto centrale e di forma ottagonale. Tale è il caso del Santuario di Solarolo, che appunto è una struttura ottagonale, che si espande, arricchendosi con quattro cappelle. Nel Medioevo la pianta ottagonale era riservata ai battisteri. È con il Rinascimento che si afferma e si diffonde il tipo di chiesa a pianta centrale. In primo luogo per una sperimentazione intellettuale di carattere geometri­co partendo dallo sviluppo del cerchio e dei poligoni con diversi lati, intersecati alla croce greca a bracci uguali. In secondo luogo per motivi teorico-filosofici. Come è chiaramente dimostrato dal trattato di Leon Battista Alberti, della seconda metà del Quattrocento, il De Re Aedificatoria, in cui è dichiarato il concetto che il tempio a pianta rotonda è l'unico degno di rappresentare e raffigurare la perfezione della Divinità. La copertura, pertanto, non può essere che a cupola emisferica.


Da queste considerazioni di carattere generale veniamo all' analisi architettonica del nostro Santuario. Innanzi tutto desta meraviglia che un edificio costruito tra il 1731 e il 1735 non presenti quei caratteri di stile barocchetto cosl diffusi in Romagna, quali volute di stucco fantasiose, cornici di varia foggia, piccoli obelischi, insomma tutte quelle decorazioni aggraziate che hanno definito l'immagine del Settecento. Ci troviamo, invece, di fronte a un edi­ficio direi quasi severo, di forme rigide,. L'esterno presenta la suddivisione in due ordini, quali ci era stata tramandata dalla tradizione cinquecentesca, con lesene aggettanti e cornici dal profilo netto e preciso. Unica concessione al gusto settecentesco: al ripiano superiore il timpano arcuato, che si differenzia da quello triangolare dell' ordine inferiore. L'esterno, inoltre, non rivela l'impianto ottagonale; appare come un rettangolo ad angoli smussati. Il campanile, ora scomparso in seguito alle vicende belliche dell'ultimo conflitto, con la cuspide a forma, cosidetta di cipolla. Era uno dei pochi elementi del gusto dell'epoca. Pochi ne sono rimasti in Romagna in confronto a quelli esistenti.

L'interno si caratterizza per le colonne poste agli angoli dell' ottagono, sporgenti per tre quarti di cerchio dalla parete e che sorreggono un pesante massiccio architrave e cornicione, che a sua volta cinge tutto l'ambiente, comprese le cappelle (ma qui con minore aggetto) e che agli spigoli dell'ottagono, si flette ad angolo. Al di sopra del cornicione cosl evidenziato da una volumetria direi quasi monumentale, la parete è decorata con riquadri e cornici più piatte e meno appariscenti. Al di sopra della cupoletta sono inserite quattro finestre entro unghiature, finestre che diffondono la luce dall' alto. La cupoletta, a sua volta, è scompartita da leggerissimi costoloni che la suddividono in settori disuguali. A livello superiore l'ottago­no si rivela irregolare, cioè a lati più lunghi e altri più brevi. A livello del pavimento, nelle pareti tra le colonne, si aprono porte sovrastate da coretti e decorate con targhe di stucco di schietta impronta barocca, rara concessione dell' architetto al gusto del tempo.

In conclusione è tutta un'architettura giocata a volumi di differente consistenza per dare movimento e varietà all' ambiente: è un discorso architettonico che l'Autore propone ed esprime in evidente polemica con il gusto del suo tempo, cioè con il barocchetto diffuso e corrente. Autore è Carlo Cesare Scaletta, faentino di nobile famiglia vissuto tra il 1666 e il 1744; ebbe una certa notorietà non solo nella città natale ma anche fuori di questa. Probabilmente si era formato studiando in Bologna matematica e architettura. In quella città deve avere osservato gli edifici tardo manieristici quali ad esempio il s. Salvatore di Padre Magenta. Fu uomo di varia cultura; ne fanno fede le opere che di lui ci sono perve­nute. Come architetto in Faenza costruila chiesa di s. Antonio, in Forli quella di s. Teresa (attualmente di Ravaldino) e a Solarolo il Santuario della Madonna della Salute. Disegnò pure una mappa del territorio di Faenza e una mappa della città. Di lui ci sono rimaste varie opere a stampa sia scientifiche che letterarie: Epitome gnomiche, ovvero compendioso trattato, e modo di descrivere ogni sorta di orologi solari, Bologna 1702; Il fonte pubblico di Faenza e la descrizione di ogni sua parte, Faenza 1719; Notizie della chiesa e diocesi di Faenza, Faenza 1726; Opuscolo cronologico sopra l'uso del calendario romano, Faenza 1725; Uso e fabbrica di alcune tavole celometriche, Faenza 1733; Arnor non inteso ovvero Il Tiberio, opera scenica, Faenza 1715; Pronostici e riflessioni astrologiche fatte sopra la rivoluzione annua dell'anno 1722, Faenza s.d.

La cultura architettonica oltre che a rifarsi a quella bolognese aveva senza dubbio come modello quella di G.B. Aleotti detto l'Argenta (dal paese di nascita), in particolar modo la chiesa della Celletta nei pressi di Argenta, (la cui struttura interna è caratterizzata da un giro di colonne). Per il nostro Santuario potrebbe avere avuto pure presente la quattrocentesca chiesa di s. Stefano Vecchio di Faenza, a impianto ottagonale con quattro cappelle laterali. Che l'architettura orchestrata dallo Scaletta presentasse dei validi significati lo dimostra il fatto che, una cinquantina di anni dopo, l'architetto Cosimo Morelli l'osservò e la tenne in considerazione, quando innalzò le pseudo-cupole o, come si potrebbero anche chiamare, volte cupolate in S. Francesco di Lugo, nel Duomo di Imola e nel S. Giacomo di Russi, in cui, nei settori della grande volta, sono inseriti direttamente i grandi arconi, ricordo evi­dente delle unghiature della cupoletta della Madonna della Salute di Solarolo.

L'altare o residenza della sacra immagine è opera degli scultori ravennati Giovanni e Domenico Fuschini su disegno del primo, approvato e forse direttamente ispirato dallo stesso Scaletta. Il modello è quello magnifico della chiesa di S. Maria dall'Angelo di Faenza, probabile opera di Francesco Borromini. L'alzata è formata da quattro colonne (due più arre­trate e due più avanzate) che reggono un timpano spezzato con grande targa centrale. Ovviamente vi sono molte varianti, forse apportate dallo Scaletta. Sull'impianto fondamen­tale che è il medesimo, s'innestano le varianti di cui notiamo le principali: la foggia dei capitelli, il profilo delle cornici, il disegno della targa superiore posta tra le penne del timpano spezzato e altre minori. La realizzazione in pietra d'Istria e marmi pregiati di vari colori fu terminata solo nel 1746. Le cronache registrate dal Notaio Pier Francesco Manamini e riportate da Mons. Francesco Lanzoni nell'opuscolo Breve storia dell'immagine e del santuario della B. V. della Salute di Solarolo ci tramandano lo splendore delle feste per l'inaugurazione del Santuario: (settembre 1736) con grande concorso di popolo, fuochi d'artificio, offerta di boccali di vino per tutti.

Lorenzo Savelli
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